Cittadinanza Italiana iure sanguinis: documenti necessari, come si ottiene, procedura giudiziale e amministrativa
Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis ai discendenti di italiani emigrati all’estero consiste nell’accertamento del possesso ininterrotto dalla nascita dello status civitatis di un soggetto, quale discendente di cittadino italiano per nascita.
INDICE
- Cittadinanza Italiana iure sanguinis: documenti necessari, come si ottiene, procedura giudiziale e amministrativa
- La legge sull'acquisto della cittadinanza ius sanguinis
- I requisiti per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis (status civitatis italiano)
- La grande naturalizzazione brasiliana del 1889-1891
- La trasmissione della cittadinanza iure sanguinis
- La procedura giudiziale per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis
- Come ottenere la cittadinanza iure sanguinis in via giudiziale
- Il Tribunale competente per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis
- La procura notarile all'Avvocato per la rappresentanza in giudizio
- Documenti necessari per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis per via giudiziale
- Qual è il termine di validità dei certificati? I certificati hanno una scadenza? E quelli emessi all’estero?
- La richiesta di trascrizione degli atti di stato civile al Comune italiano per la cittadinanza iure sanguinis
- Quali sono i tempi per ottenere la cittadinanza iure sanguinis?
- Come ottenere la cittadinanza iure sanguinis in via amministrativa
- domande frequenti
La cittadinanza italiana per discendenza rappresenta uno dei corollari del nostro ordinamento in termini di riconoscimento della cittadinanza italiana (cittadinanza italiana iure sanguinis per via di discendenza diretta dall’avo cittadino italiano).
La legge sull'acquisto della cittadinanza ius sanguinis
La Legge n. 91/1992: attualmente in vigore
Il principio cardine di acquisto della cittadinanza è quello dello ius sanguinis (non ius soli), in forza del quale è cittadino italiano per nascita il figlio di genitori cittadini.
Quindi ai sensi dell’art. 1, comma 1, L. n. 91/1992:
“E’ cittadino per nascita:
- il figlio di padre o di madre cittadini;
- chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono“.
In applicazione di questa legge il discendente di emigrato italiano, il quale non abbia conseguito la cittadinanza straniera, può rivendicare a sua volta la cittadinanza italiana iure sanguinis. Questo significa che anche i discendenti di seconda, terza e quarta generazione, ed oltre, di emigrati italiani siano dichiarati cittadini italiani per filiazione, cioè per cittadinanza ius sanguinis.
La Legge n. 555/1912: precedente normativa
Anche prima dell’attuale legge in vigore, la Legge n. 555/1912 ha sempre assunto e mantenuto come principio cardine per l’acquisto della cittadinanza ab origine lo ius sanguinis, ponendo così in primo piano il legame di sangue tra genitore e figlio.
I requisiti per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis (status civitatis italiano)
Per ottenere la cittadinanza ius sanguinis occorrono due requisiti basilari:
- la discendenza da soggetto italiano (vale a dire l’avo emigrato);
- l’assenza di interruzioni nella trasmissione della cittadinanza.
E’ fondamentale che il richiedente dimostri la mancata naturalizzazione straniera non solo dell’avo italiano, prima della nascita del figlio, ma anche dei suoi discendenti in linea retta, prima della nascita della successiva generazione, fino ad arrivare al richiedente medesimo.
La grande naturalizzazione brasiliana del 1889-1891
Nel 1889-1891 il Brasile si trovava di fronte alla necessità di “regolarizzare” una moltitudine di ex-schiavi per toglierli dallo stato di apolidia e dar loro documenti validi per potersi iscrivere alle liste elettorali, partecipando attivamente alla vita politica del Brasile.
Per fare ciò veniva emanato il Decreto n. 58-A del 14 dicembre 1889 sulla “Grande naturalizzazione”, e successivamente, per darne attuazione, il Decreto 277-D del 22 marzo 1890 e il Decreto 480 del 13 giugno 1890, secondo cui:
- saranno considerati cittadini brasiliani a tutti gli effetti dell’art. 3 del decreto 58° del 14 dicembre del 1889 (…) gli stranieri che chiedono di essere iscritti nelle liste elettorali” (art. 1 Decreto 277-D del 22 marzo 1890);
- la cittadinanza sarà attribuita agli stranieri che abbiano richiesto l’iscrizione ed ai quali, essendo stati inseriti nelle liste elettorali per indicazione delle commissioni municipali, indipendentemente dalla richiesta abbiamo reclamato la consegna del titolo elettorale (art. 1 Decreto 480 del 13 giugno 1890).
A queste disposizioni, seguiva un ulteriore attuativo Decreto n. 6.948 del 14 maggio 1908, in cui venne espressamente previsto che:
- la concessione della naturalizzazione avveniva solo a seguito di formale richiesta, attraverso la presentazione di apposite istanze e l’utilizzazione di specifici formulari all’uopo predisposti.
Nel predetto provvedimento si legge:
- sono considerati cittadini brasiliani (…) gli stranieri che, trovandosi in Brasile il 15 novembre 1889, non hanno dichiarato, fino al 24 agosto 1891, l’interesse a mantenere la nazionalità di origine (art. 1 del Decreto citato).
- lo straniero che desidera diventare cittadino brasiliano rivolge, da solo o per procura, al Presidente della Repubblica, tramite il Ministro della Giustizia e delle Imprese dell’Interno, una richiesta (…)” (cfr. art. 4 Decreto citato).
Per gli stranieri tacitamente naturalizzati, nei casi dei paragrafi 4 e 5 dell’articolo 1, i seguenti documenti rilasciati entro il 12 dicembre 1907 sono validi come titoli dichiarati di cittadino brasiliano:
- titolo ed elettore federale
- decreti e ordinanze di nomina per uffici pubblici federali o statali.
Inoltre, il Decreto n. 277-D, del 22 marzo 1890, stabiliva che saranno considerati cittadini brasiliani e quindi inclusi nelle liste elettorali:
- gli stranieri che chiederanno di essere registrati come elettori, dopo aver fissato la residenza in Brasile, che sappiano leggere e scrivere (art. 1).
In altre parole, per godere a pieno della qualità di cittadino brasiliano era necessario aver richiesto l’iscrizione nella lista elettorale (decreto n. 277 D, del 22 marzo, art. 1º) e comunque richiedere la consegna della tessera elettorale.
Quindi, chi fosse effettivamente stato raggiunto dalla naturalizzazione, fino al 1907, poteva dimostrare il suo status di cittadino brasiliano attraverso l’iscrizione alle liste elettorali ovvero l’assunzione di un impiego pubblico, ciò in conformità ai sopra citati decreto.
Ciò significa che il Decreto n. 58-A del 14 dicembre 1889 non conferiva automaticamente la cittadinanza brasiliana agli stranieri, ma solo la possibilità di acquisire definitivamente tale status attraverso il compimento di un’attività ulteriore e positiva dell’interessato, consistente nella sua espressa richiesta di iscrizione alle liste elettorali o del rilascio della tessera elettorale. In mancanza di tale attività positiva, lo straniero rimaneva tale e non poteva esercitare i diritti politici connessi allo status di cittadino in Brasile.
A partire dall’anno 1908, con l’entrata in vigore del decreto n. 6.948, lo straniero, presente nel territorio brasiliano al 15 novembre 1889, doveva comunque attivarsi per ottenere la naturalizzazione attraverso la procedura amministrativa.
Inoltre, il medesimo Decreto del 1908 disponeva che “per l’esecuzione del § 4 art. 1, sono raccolti presso la Segreteria di Giustizia e delle Imprese Interne i libri di dichiarazione istituiti con i decreti 58° del 4 dicembre 1889 e 396 del 1890” (art. 20).
Le conseguenze della grande naturalizzazione sul riconoscimento giudiziale della cittadinanza iure sanguinis
Come abbiamo appena visto il citato decreto emanato dal Governo provvisorio brasiliano stabiliva che gli italiani presenti in territorio Brasiliano alla data del 15.12.1889 avrebbero ottenuto la “naturalizzazione automatica” brasiliana a meno che non avessero manifestato dinanzi ai propri consolati la volontà di permanere cittadini della nazione di origine, entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto.
Tale provvedimento è stato utilizzato dal Ministero dell’Interno nel corso di molti procedimenti giudiziali sul riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis al fine di contestare la trasmissione dello status civitatis per supposta automatica perdita della cittadinanza italiana dell’avo italiano che in quel periodo storico era emigrato in Brasile.
La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 25318 del 24.08.2022 e la fine della c.d. "grande naturalizzazione brasiliana"
La corte di Cassazione a Sezione Unite, il 24.08.2022, ha pronunciato la sentenza n. 25318 che ha definitivamente ritenuto illegittima l’interpretazione della norma attuata dal Ministero dell’Interno, stabilendo che la norma straniera debba essere necessariamente posta in stretta correlazione con le disposizioni del codice civile del 1865 – all’epoca vigente – e ciò perché, secondo le norme del diritto internazionale, le leggi estere non possono in nessun caso derogare alle leggi del regno concernenti le persone, i begli e gli atti, ed a quelle riguardanti in qualsiasi modo l’ordine pubblico ed il buon costume.
Quindi l’applicazione della c.d. grande naturalizzazione non può prescindere dall’art. 11, comma 2, del Codice Civile del 1865, il quale prevedeva che la cittadinanza si perdeva in caso di ottenimento della cittadinanza estera, interpretando simile dicitura nel senso che l’acquisto della cittadinanza straniera non implicava la perdita automatica della cittadinanza italiana, ma richiedendo che detto acquisto, se verificatosi senza il concorso della volontà dell’interessato, sia stato seguito da una dichiarazione di rinuncia alla cittadinanza italiana.
Pertanto, la Corte di Cassazione Sezioni Unite con la sentenza n. 25318 del 24 agosto 2023 hanno stabilito che non si può ritenere sussistente alcun automatismo nella perdita della cittadinanza italiana per effetto della naturalizzazione di massima, disposta dal Governo brasiliano nel 1889, in quanto la rinuncia alla cittadinanza italiana non può essere tacita e, pertanto, consegue solo ad un atto individuale, volontario ed esplicito.
La trasmissione della cittadinanza iure sanguinis
La trasmissione via PATERNA della cittadinanza iure sanguinis
Con riguardo alla trasmissione della cittadinanza in linea maschile (o cittadinanza iure sanguinis per per linea paterna), secondo la normativa italiana si trasmette per discendenza iure sanguinis, per cui alla nascita si acquista la cittadinanza del proprio genitore.
Così stabilisce l’art. 1, della Legge n. 91 del 1992:
- il figlio di padre o di madre cittadini;
- chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono
Questo significa che è cittadino italiano il figlio figlio di padre o di madre cittadini italiani: confermando il principio di riconoscimento della cittadinanza italiana per derivazione paterna al figlio del cittadino, a prescindere dal luogo di nascita.
Requisiti per la trasmissione via PATERNA della cittadinanza iure sanguinis
Pertanto colui che è nato in uno Stato straniero ha diritto di essere riconosciuto cittadino italiano se dimostra di avere un avo italiano (maschio), senza limiti generazionali (purché l’antenato italiano sia deceduto dopo il 17 marzo 1861 – data della proclamazione del Regno d’Italia).
L’unica condizione richiesta è che la catena di trasmissione della cittadinanza non si sia interrotta per naturalizzazione o per rinuncia di uno degli ascendenti prima della nascita del figlio cui si vorrebbe trasmettere la cittadinanza.
La trasmissione via MATERNA della cittadinanza iure sanguinis
La trasmissione per via materna delle cittadinanza iure sanguinis incontra una serie di limiti.
In particolare la trasmissione della cittadinanza in linea femminile può incontrare una interruzione, sulla base della legge vigente al tempo, sicché la precedente normativa, ex. art. 10 della Legge n. 555/1912 stabiliva la perdita della cittadinanza italiana per la donna che si univa in matrimonio con un cittadino straniero.
La pronuncia della Corte Costituzionale n. 30 del 1983 e l'illegittimità costituzionale per violazione della parità dei sessi.
La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 30 del 1893 ha dichiarato incostituzionale la legge citata per violazione degli art. 3 e 29 della Costituzione nella parte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadinanza.
Tale pronuncia ha ricondotto ai valori costituzionali della previgente disciplina legislativa sullo status civitatis e consentito quindi la possibilità di acquisto della cittadinanza italiana per linea materna.
In precedente sempre la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 87 del 9-16 aprile 1975, aveva dichiarato incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione l’art. 10 della Legge n. 55 del 1912, nella parte in cui prevede la perdita automatica della cittadinanza italiana indipendentemente dalla volontà della donna.
La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 4466 del 25.02.2009: il diritto di cittadinanza è giustiziabile in ogni tempo
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sentenza n. 4466 del 25.02.2009 ha affermato che “per effetto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto il diritto allo “status” di cittadino italiano al richiedente nato all’estero da figlio di donna italiana coniugata con cittadino straniero nel vigore della L. 555 del 1912 che sia stata, di conseguenza, privata della cittadinanza italiana a causa del matrimonio”.
Ed invero, “pur condividendo il principio dell’incostituzionalità sopravvenuta, secondo il quale la declaratoria d’incostituzionalità delle norme precostituzionali produce effetto soltanto sui rapporti e le situazioni non ancora esaurite alla data del 1° gennaio 1948, non potendo retroagire oltre l’entrata in vigore della Costituzione, la Corte afferma che il diritto di cittadinanza in quanto “status” permanente ed imprescrittibile, salva l’estinzione per effetto di rinuncia da parte del richiedente, è giustiziabile in ogni tempo (anche in caso di pregressa morte dell’ascendente o del genitore dai quali deriva il riconoscimento) per l’effetto perdurante, anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, dell’illegittima privazione dovuta alla norma discriminatoria dichiarata incostituzionale“.
Requisiti per la trasmissione via MATERNA della cittadinanza iure sanguinis
Nati PRIMA del 1 gennaio 1948 da madre italiana
In forza dell’efficacia di queste pronunce di incostituzionalità dalla data di entrata in vigore della nuova Costituzione, la titolarità della cittadinanza italiana deve ritenersi riconosciuta anche ai figli di madre cittadina italiana che non l’avevano acquistata perché nati anteriormente al 1 gennaio 1948 e, conseguentemente, ai loro discendenti.
Nati DOPO il 1 gennaio 1948 da madre italiana
Per i figli nati da madre italiana dopo il 1 gennaio 1948 è riconosciuta la trasmissione iure sanguinis dalla madre, sempre in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 1983, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, n. 1, della Legge n. 555 del 1912, nella parte in cui “non prevede che sia cittadino italiano per nascita anche il figlio di madre cittadina“, in violazione degli artt. 3 e 29 Cost.
La procedura giudiziale per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis
La procedura di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis per via giudiziale rappresenta oggi il procedimento più veloce e, in alcuni casi, anche obbligatorio.
I discendenti di avi italiani che chiedono la cittadinanza per via materna non hanno altra via percorribile se non l’azione giudiziaria.
Coloro che la richiedono per via paterna, invece, avrebbero la possibilità di presentare l’istanza di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis in via amministrativa.
Il problema più grande nel caso in cui si possa e si voglia optare per il riconoscimento iure sanguinis della cittadinanza in via amministrativa è la quasi totale impossibilità di farlo in tempi ragionevoli.
Il ricorso giudiziale contro le file al consolato: riconoscimento giudiziale iure sanguinis "contra as filas"
I tempi per essere chiamati dal Consolato sono talmente lunghi (come ad esempio per il Consolato italiano a San Paolo dove ci sono file di attesa di almeno 10 anni) che il richiedente è portato/costretto a rinunciare.
Questi lunghissimi tempi di attesa rappresentano il presupposto per dimostrare “l’interesse ad agire” e, conseguentemente, per intraprendere l’azione giudiziale di riconoscimento della cittadinanza per discendenza di sangue (iure sanguinis – ius sanguinis – jure sanguinis).
Infatti in base all’interpretazione che la giurisprudenza offre della legge n. 91/1992, nell’ipotesi di discendenza paterna da avo italiano il riconoscimento della cittadinanza in via amministrativa non dovrebbe trovare ostacoli. Ciò in quanto non vi sono problemi di interpretazione normativa e dichiarazioni di incostituzionalità (come nel caso della cittadinanza iure sanguinis per via materna).
Gli interessati devono quindi presentare domanda al Consolato di residenza ed attendere il compimento dell’iter amministrativo.
Come noto, in particolari Stati (fra tutti il Consolato in Brasile) le liste di attesa per le domande di cittadinanza iure sanguinis sono lunghissime ed il tempo di definizione dei procedimenti ha superato il decennio (nel Consolato di San Paolo in Brasile l’attesa attualmente è giunta a 13 anni).
Il Tribunale di Roma con la nota sentenza pronunciata dalla sez. I, 29/01/2019, n. 2055 ha preso atto della problematica delle lunghissime liste di attesa per il riconoscimento in via amministrativa della cittadinanza ius sanguinis e, pertanto, ha stabilito che “si può affermare che simili coordinate temporali si sostanzino in un diniego di riconoscimento del diritto vantato dai richiedenti, giustificando così il loro accesso alla via giurisdizionale” (Tribunale Roma, sez. I, 29/01/2019, n. 2055).
L’orientamento del Tribunale si è poi evoluto ulteriormente e nell’ultimo periodo sono intervenute altre sentenze del Tribunale di Roma, in base alle quali non è più richiesto di attendere 730 giorni prima di iniziare l’azione giudiziaria e nemmeno una preventiva presentazione della domanda avanti al Consolato (ma che io consiglio ugualmente di allegare).
I discendenti di avi italiani emigrati all’estero potranno far valere il diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis presentando direttamente il ricorso giudiziale avanti al Tribunale ordinario, sezione specializzata in materia di Immigrazione nel distretto del luogo di nascita dell’avo italiano.
Quando richiedere la cittadinanza iure sanguinis in via giudiziale
Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis in via giudiziale può essere richiesto in tre casi:
- quando si tratta di una discendenza per linea materna, o quando, se il caso è per via amministrativa o paterna, il Consolato italiano di riferimento presenta una fila di attesa troppo lunga (file al consolato, contra as filas);
- quando nella linea genealogica è presente una donna il cui figlio è nato prima del 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione italiana che ha sancito e ufficializzato il principio della parità uomo-donna;
- Quando la linea familiare è maschile, oppure il figlio della donna italiana è nato dopo il 1° gennaio 1948. In tal caso, per presentare l’azione giudiziale, bisogna dimostrare che il Consolato competente a ricevere la domanda impiega un tempo eccessivo per decidere (come ad esempio, San Paolo, dove si attende 10-12 anni solamente per essere convocati).
Come ottenere la cittadinanza iure sanguinis in via giudiziale
Il Tribunale competente per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis
Dal 2021 è cambiata la legge e, pertanto, la competenza a decidere sulle domande di cittadinanza jure sanguinis attraverso il procedimento giudiziale non è più il Tribunale di Roma (che prima aveva competenza esclusiva), ma è il Tribunale del foro di nascita dell’avo italiano.
La legge Delega n. 206/2021 prevede al comma n. 36 che all’articolo 4, comma 5, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Quando l’attore risiede all’estero le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o dell’avo cittadini italiani”.
Il comma n. 37 prevede che “Le disposizioni dei commi da 27 a 36 del presente articolo si applicano ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge”.
A far data dal 22.06.2022 le domande di cittadinanza iure sanguinis per via giudiziale presentate dai ricorrenti residenti all’estero dovranno essere avanzate nel Tribunale in cui hanno sede le Sezioni specializzate in materia di Immigrazione e Cittadinanza e non più il Tribunale di Roma.
La procura notarile all'Avvocato per la rappresentanza in giudizio
La procedura di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis per via giudiziale non richiede la presenza dei ricorrenti in Italia e, pertanto, non è necessario presenziare personalmente in Tribunale.
La causa verrà gestita da un Avvocato esperto in riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis, iscritto all’Ordine degli Avvocati in Italia, che vi rappresenterà tramite una procura (pubblica o privata autenticata) redatta da un Notaio e successivamente tradotta e apostillata (nel caso di cittadini del Brasile).
Documenti necessari per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis per via giudiziale
Per poter correttamente presentare la richiesta di riconoscimento della cittadinanza ius sanguinis per via giudiziale occorre essere in possesso dei seguenti documenti:
- copia integrale dell’atto di nascita dell’avo italiano emigrato all’estero, rilasciato dal Comune italiano nel quale egli nacque;
- atti integrali di nascita di tutti i suoi discendenti in linea retta, compreso quello della persona rivendicante la cittadinanza italiana;
- atto integrale di morte dell’antenato italiano (questo atto è particolarmente importante quando l’avo si è coniugato in Italia, e pertanto l’atto di morte è l’unico a lui riferito che attesta la sua presenza nel Paese straniero);
- atto di matrimonio dell’avo italiano emigrato all’estero;
- atti di matrimonio dei suoi discendenti in linea retta, compreso quello dei genitori della persona rivendicante la cittadinanza italiana;
- certificato rilasciato dalle competenti autorità dello stato estero di emigrazione, attestante che l’avo italiano a suo tempo emigrato dall’Italia non acquistò la cittadinanza dello Stato estero di emigrazione anteriormente alla nascita dell’ascendente dell’interessato (es. la CNN brasiliana);
- copie autentiche di eventuali sentenze o atti di separazione o divorzio, esclusivamente delle persone che richiedono la cittadinanza;
- in presenza di figli nati fuori dal matrimonio, la cui nascita è stata registrata dal solo genitore che non trasmette la cittadinanza italiana, occorre una scrittura pubblica con la quale l’altro genitore, ovvero quello di sangue italiano, dichiara e conferma di essere madre/padre biologica/o del figlio nato fuori dal matrimonio;
Tutti questi documenti che sono stati formati all’estero, ai sensi del D.P.R. 44R. 445/2000, devono essere tradotti in lingua italiana e muniti di legalizzazione consolare (o Apostille, se lo Stato in questione aderisce alla Convenzione dell’Aja del 1961).
Qual è il termine di validità dei certificati? I certificati hanno una scadenza? E quelli emessi all’estero?
Esiste una durata in termini di validità dei documenti ottenuti per la cittadinanza iure sanguinis?
Questa è una delle domande più frequenti, soprattutto quando si tratta di documenti prodotti all’estero.
La validità dei certificati è disciplinata dall’art. 41 del d.p.r. 445/2000 (così come modificato dalla legge 183/2001) che stabilisce:
“I certificati rilasciati dalle pubbliche amministrazioni attestanti stati, qualità personali e fatti non soggetti a modificazioni hanno validità illimitata. Le restanti certificazioni hanno validità di sei mesi dalla data di rilascio se disposizioni di legge o regolamentari non prevedono una validità superiore”.
Questo significa che se le indicazioni contenute nel certificato non sono soggette a modifiche (ad esempio un certificato di nascita) allora il certificato non ha scadenza ed ha validità illimitata, se invece quanto contenuto nel certificato è soggetto a modifica nel tempo (ad esempio un certificato di residenza) ha una durata di sei mesi o quella specifica prevista da altre norme.
Se nel certificato trovate una data di scadenza, questa non ha alcuna validità!
Infatti solamente la legge può stabilire la validità di quel documento e, nel nostro caso, la durata è illimitata per alcuni certificati e di 6 mesi per altri.
Questa legge vale anche per tutti i documenti prodotti all’estero (ed qui in particolare è quello che interessa a noi!)
Infatti l’Ufficio III della Direzione Generale per gli Italiani all’estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, competente per le questioni attinenti alla cittadinanza italiana, a seguito di apposito quesito formulato dalla Prefettura UTG di Bergamo, ha chiarito che anche per i certificati prodotti all’estero di applica la stessa legge prevista per i certificati prodotti in Italia.
Pertanto, è ben possibile produrre ai fini del riconoscimento della cittadinanza certificati emessi anche da più di un anno purché relativi a fatti non più modificabili.
Del resto, con riferimento al processo giudiziale, va ricordato che il processo è retto dall’onere probatorio per cui la parte deve fornire la prova del suo diritto ed, in particolare, nei processi di cittadinanza ius sanguinis, la prova della filiazione da discendente italiano per cui il giudice più che la data dell’atto valuterà il contenuto dell’atto.
E la procura alle liti all’Avvocato, ha una scadenza?
La procura alle liti non ha una scadenza poiché viene rilasciata, a seconda se è generale o speciale, per compiere determinati atti o un determinato processo oppure una serie indeterminata di liti e, pertanto, non serve rifarla dopo un anno!
La richiesta di trascrizione degli atti di stato civile al Comune italiano per la cittadinanza iure sanguinis
Ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana l’Avvocato munito di procura contatta direttamente l’ufficio anagrafico del Comune italiano di nascita dell’avo chiedendo la trascrizione degli atti di stato civile delle persone che abbiano ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis.
Le prassi sulla trascrizione cambiano da Comune a Comune, tendenzialmente i Comuni richiedono la spedizione dei documenti cartacei di cui si chiede la trascrizione e l’invio dell’ordinanza e del certificato di non proposto appello (certificato di passaggio in giudicato) con le relative attestazioni di conformità.
Una volta che l’ufficiale di stato civile conferma l’avvenuta trascrizione, la procedura si intende conclusa ed il riconoscimento della cittadinanza opera con effetto retroattivo alla nascita della persona.
In seguito alla trascrizione i richiedenti possono recarsi personalmente presso gli Uffici Consolari di residenza per richiedere l’iscrizione all’AIRE nonché poi eventualmente il rilascio del passaporto italiano.
Quali sono i tempi per ottenere la cittadinanza iure sanguinis?
Il tempo di attesa per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis dipende molto dalla forma in cui la domanda viene presentata.
Due sono i modi:
- in via amministrativa
- in via giudiziale
Quanto tempo ci vuole per la cittadinanza iure sanguinis in via amministrativa
La cittadinanza jure sanguinis in via amministrativa può essere avanzata in due differenti modalità:
- in Italia tramite il Comune
- all’estero tramite il Consolato competente.
Se il procedimento viene avviato personalmente in Italia, l’attesa varia in base al Comune (questa attesa dipende da quanto impiega il Comune a ricevere dai Consolati competente l’attestato di non rinuncia alla cittadinanza da parte dei discendenti dell’avo italiano).
Se invece la domanda è presentata all’estero, l’attesa varia in base al Consolato in cui viene presentata la domanda.
Se ad esempio si tratta del Consolato di San Paolo è fatto noto che attualmente bisogna attendere 13 anni solo per essere convocati. Anche in altri Consolati in Brasile i tempi sono molto simili.
Per questi motivi è fortemente consigliato procedere per via giudiziale.
Quanto tempo ci vuole per la cittadinanza iure sanguinis in via giudiziale
Il tempo necessario per ottenere la cittadinanza iure sanguinis in via giudiziale è sicuramente molto più ridotto di quella in via amministrativa.
Tuttavia non è possibile indicare un tempo ben determinato, questo perché la legge non lo prevede e soprattutto perché il tempo necessario può variare per diversi fattore.
A esempio:
- perché il processo può avere una o più udienze,
- un giudice può fissare udienza più rapidamente di un altro,
- nel giudizio possono verificarsi sostituzioni di giudici o altri eventi non prevedibili in anticipo.
Attualmente i tempi di attesa variano da 6/8 mesi a 2 anni.
Il procedimento di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis per via giudiziale è molto più veloce del riconoscimento per via amministrativa!
Come ottenere la cittadinanza iure sanguinis in via amministrativa
La domanda per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis si può presentare anche per via amministrativa (salvo il caso in cui si tratti di richiesta per via materna).
La procedura amministrativa deve essere presentata mediante istanza all’Autorità consolare (se il richiedente risiede all’estero), o al Sindaco del Comune di residenza (se il richiedente risiede in Italia).
In quest’ultimo caso, per ottenere l’iscrizione all’anagrafe ai fini della presentazione dell’istanza, l’interessato non deve essere titolare di permesso di soggiorno, ma è sufficiente la dichiarazione di presenza, come stabilito dalla Circolare del Ministero dell’Interno n. 32 del 13 giugno 2007.
Documenti necessari per il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis per via amministrativa
- copia integrale dell’atto di nascita dell’avo italiano emigrato all’estero, rilasciato dal Comune italiano nel quale egli nacque;
- atti integrali di nascita di tutti i suoi discendenti in linea retta, compreso quello della persona rivendicante la cittadinanza italiana;
- atto integrale di morte dell’antenato italiano (questo atto è particolarmente importante quando l’avo si è coniugato in Italia, e pertanto l’atto di morte è l’unico a lui riferito che attesta la sua presenza nel Paese straniero);
- atto di matrimonio dell’avo italiano emigrato all’estero;
- atti di matrimonio dei suoi discendenti in linea retta, compreso quello dei genitori della persona rivendicante la cittadinanza italiana;
- certificato rilasciato dalle competenti autorità dello stato estero di emigrazione, attestante che l’avo italiano a suo tempo emigrato dall’Italia non acquistò la cittadinanza dello Stato estero di emigrazione anteriormente alla nascita dell’ascendente dell’interessato (es. la CNN brasiliana);
- copie autentiche di eventuali sentenze o atti di separazione o divorzio, esclusivamente delle persone che richiedono la cittadinanza;
- in presenza di figli nati fuori dal matrimonio, la cui nascita è stata registrata dal solo genitore che non trasmette la cittadinanza italiana, occorre una scrittura pubblica con la quale l’altro genitore, ovvero quello di sangue italiano, dichiara e conferma di essere madre/padre biologica/o del figlio nato fuori dal matrimonio;
- dichiarazione di presenza;
- certificato di residenza;
- permesso di soggiorno per attesa cittadinanza;
- passaporto
- marca da bollo da €16,00
Permesso di soggiorno per attesa cittadinanza italiana
Il regolamento di attuazione del Testo Unico sull’immigrazione (D.P.R. 394/99 e successive modifiche) prevede che chi è in attesa dell’acquisto della cittadinanza italiana può ottenere un permesso che lo/la autorizza a soggiornare in Italia fino al termine del relativo procedimento.
Non è possibile ottenere dall’estero un visto di ingresso per attesa cittadinanza. Il permesso di soggiorno per attesa cittadinanza può essere rilasciato solo allo straniero già in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato per altri motivi.
La Circolare del Ministero dell’Interno del 13 giugno 2007 ha precisato che, a seguito dell’abolizione del permesso per motivi di turismo, la ricevuta della dichiarazione di presenza, resa da chi entra in Italia per motivi di turismo, può costituire titolo utile ai fini dell’iscrizione anagrafica di coloro che intendono avviare in Italia la procedura per il riconoscimento della cittadinanza “iure sanguinis“.
Con il permesso di soggiorno per attesa cittadinanza è possibile chiedere il ricongiungimento familiare (se si è in possesso dei requisiti previsti dalla legge, in particolare idoneità alloggiativa e reddito. cfr Suprema Corte sentenza n. 12680 del 20 aprile 2009 ) e l’iscrizione alla ASL per usufruire delle cure sanitarie.
Tali permessi di soggiorno, inoltre, ai sensi dell’articolo 6, comma 1 bis, del D.lgs. n. 286/98, consentono di svolgere attività lavorativa e possono essere convertiti in un permesso di soggionro per motivi di lavoro, laddove ne ricorrano i requisiti.
domande frequenti
Cittadinanza italiana iure sanguinis: la guida completa
La cittadinanza iure sanguinis è l’accertamento della cittadinanza italiana per discendenza di sangue da avo italiano emigrato all’ester.
Lo ius sanguinis è il diritto di sangue che, in altre parole, indica il riconoscimento della cittadinanza italiano disciplinato dalla Legge 91/1992.
Lo “ius soli” fa riferimento alla nascita sul territorio dello Stato e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza, allo “ius sanguinis“, che si basa invece sull’elemento della discendenza o della filiazione.
La cittadinanza per discendenza è regolata dal criterio dello ius sanguinis. L’art. 1 della legge n. 91/92 stabilisce che è cittadino per nascita il figlio di padre o madre cittadini.
La trasmissione della cittadinanza non ha limiti generazionali (con l’unica condizione che l’antenato italiano sia deceduto dopo il 17 marzo 1861, data della proclamazione del Regno D’Italia).
Lo ius soli in Europa
Se l’Italia dovesse decidere di adottare una forma di ius soli temperato, non si ritroverebbe ad essere una mosca bianca in Europa. Nel vecchio continente, infatti, sono diversi gli Stati che già utilizzano questo principio per attribuire la cittadinanza (affiancato allo ius sanguinis). È il caso di Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Belgio e Olanda. Nessun paese europeo, invece, ha scelto la via dello ius soli illimitato.
Tra l’altro, se si guarda all’acquisizione della cittadinanza in una prospettiva storica, fino al 1700, anche in Europa, la regola generale era quella del “diritto di suolo”, tipico corollario di una società ad impostazione feudale. Solo con la Rivoluzione francese si è assistito al ribaltamento di questa impostazione e all’affermarsi di uno strapotere dello ius sanguinis in tutti i paesi di diritto civile (in contrapposizione con i paesi di diritto comune, common law, che hanno invece mantenuto lo ius soli).
In Francia
In Francia esiste uno ius soli temperato. Al raggiungimento della maggiore età, infatti, la cittadinanza viene riconosciuta a chi è nato sul territorio francese, al sussistere di una dei queste due condizioni:
i genitori, al momento della sua nascita, avevano regolare permesso di soggiorno;
risiede in Francia da almeno 5 anni, al momento del compimento della maggiore età (18 anni).
Inoltre, nel primo caso la concessione della cittadinanza avviene automaticamente quando la persona coinvolta diventa maggiorenne, mentre nel secondo caso deve esserci un’espressa richiesta.
In Germania
Anche in Germania lo ius sanguinis convive con lo ius soli temperato. Oltra a chi nasce da genitori tedeschi, infatti, ha la cittadinanza anche chi è figlio di stranieri, purché almeno uno dei due risieda legalmente nel paese da minimo 8 anni e abbia un permesso di soggiorno a tempo indeterminato da minimo 3 anni.
In Gran Bretagna
La Gran Bretagna adotta uno ius soli temperato ancora più agevole rispetto a quello della Germania. L’unica condizione richiesta per riconoscere la cittadinanza ai figli degli stranieri è che almeno uno dei genitori abbia un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.
In Portogallo
Particolare la tipologia di ius soli temperato scelta dal Portogallo. Qui il riconoscimento della cittadinanza dalla nascita di coloro che hanno entrambe i genitori stranieri avviene:
previo rilascio, da parte di madre e padre, di una semplice dichiarazione in cui affermano di volere essere cittadini portoghesi;
a condizione che uno dei due risieda in territorio portoghese da almeno 2 anni.
In Irlanda
La residenza di madre e padre è fondamentale anche per i figli di stranieri nati in Irlanda. La cittadinanza, infatti, gli viene riconosciuta se almeno uno dei genitori, al momento del parto, risulta aver risieduto nel paese per minimo 3 dei 4 anni precedenti.
In Spagna
In Spagna, invece, ai nati sul territorio nazionale da genitori stranieri è riconosciuta la cittadinanza su richiesta, dopo un anno di residenza nel paese.
In Belgio e Olanda
Le scelte di Belgio e Olanda sono sensibilmente diverse, con un solo punto in comune: la cittadinanza ai bambini nati nello Stato ma da genitori stranieri è riconosciuta solo al compimento della maggiore età. Nel caso del Belgio, però, il riconoscimento è automatico e può essere anticipato ai 12 anni se i genitori sono residenti da almeno 10 anni. In Olanda, invece, bisogna presentare richiesta e dimostrare di risiedere ininterrottamente nel territorio almeno dall’età di 4 anni.
Il bambino, figlio di genitori entrambi stranieri, nato in Italia e legalmente residente dalla nascita fino ai 18 anni, non possiede automaticamente la cittadinanza italiana, ma può acquisirla.
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