L’esclusione dell’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo viola anche la “pari dignità sociale”.
Sono state pubblicate le motivazioni della sentenza che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma del decreto sicurezza che negava ai richiedenti asilo il diritto alla residenza.
L’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica, invece di aumentare il livello di sicurezza pubblica, finisce col limitare le capacità di controllo e di monitoraggio dell’autorità pubblica su persone che soggiornano regolarmente nel territorio statale, anche per lungo tempo, in attesa della decisione sulla loro richiesta di asilo. Inoltre, negare l’iscrizione all’anagrafe a chi dimora abitualmente in Italia significa trattare in modo differenziato e indubbiamente peggiorativo, senza una ragionevole giustificazione, una particolare categoria di stranieri.
È quanto si legge nella motivazione dellasentenza n. 186 depositata il 31 luglio scorso con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 13 del primo “decreto sicurezza”, n. 113/2018 .
La previsione, ha dichiarato la Corte, viola l’articolo 3 della Costituzione sotto due distinti profili.
In primo luogo è viziata da irrazionalità intrinseca, in quanto, rendendo problematica la stessa individuazione degli stranieri esclusi dalla registrazione, è incoerente con le finalità del decreto, che mira ad aumentare il livello di sicurezza.
In secondo luogo riserva agli stranieri richiedenti asilo un trattamento irragionevolmente differenziato rispetto ad altre categorie di stranieri legalmente soggiornanti nel territorio statale, oltre che ai cittadini italiani.
Per la sua portata e per le conseguenze che comporta anche in termini di stigma sociale – di cui è espressione, non solo simbolica, l’impossibilità per i richiedenti asilo di ottenere la carta d’identità – la violazione del principio di uguaglianza enunciato all’articolo 3 della Costituzione assume in questo caso anche la specifica valenza di lesione della «pari dignità sociale».
In conseguenza dell’incostituzionalità della norma sul divieto dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, sono state dichiarate incostituzionali anche le restanti disposizioni dell’articolo 13 del primo “decreto sicurezza”, che prevedevano, tra l’altro, che il permesso di soggiorno costituisse documento di riconoscimento in luogo della carta d’identità, e che l’accesso ai servizi erogati ai richiedenti asilo fosse assicurato nel luogo di domicilio, anziché in quello di residenza.
La Direzione Centrale per i Servizi Demografici del Ministero dell’Interno ha inviato una circolare a tutti i prefetti
Dallo scorso 6 agosto, i richiedenti asilo possono di nuovo iscriversi all’anagrafe e quindi prendere residenza e carta di identità. Sono gli effetti della sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale e ha quindi cancellato la norma del decreto sicurezza (art. 13 DL 113/2018) secondo la quale il permesso di soggiorno per richiesta d’asilo non era un titolo valido per l’iscrizione.
La sentenza della Corte Costituzionale (n. 186/2020) è stata depositata il 31 luglio e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 5 agosto. Il 14 agosto, la Direzione Centrale per i Servizi Demografici del Ministero dell’Interno ha inviato una circolare a tutti i prefetti in cui ne spiega effetti e tempistiche.
“Considerato – si legge nella circolare – che, ai sensi dell’art. 136 Cost., quando la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, quest’ultima cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, che non incide sui rapporti giuridici già definiti , si rappresenta che, a decorrere dal 6 agosto 2020, ai fini dell’iscrizione anagrafica dello straniero richiedente asilo, trovano applicazione le disposizioni vigenti anteriori all’entrata in vigore dell’art.13 del decreto-legge n.113 del 2018. Si chiede alle SS.LL. di voler informare i sigg. Sindaci di quanto comunicato”.
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Avvocato del Foro di Forlì-Cesena • Fondatore e Titolare del sito avvocatofrancescolombardini.it
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